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Blockchain ed applicazioni in agricoltura - Parte 1: il Bitcoin, come tutto è iniziato

Il Piano Nazionale “Impresa 4.0” offre alle aziende italiane strumenti per cogliere le opportunità dell’innovazione e del digitale, legate alla quarta rivoluzione industriale. Il Piano prevede misure specifiche, che tengono conto della neutralità tecnologica, intervenendo con azioni orizzontali e fattori abilitanti. Una delle tecnologie, ad oggi, più interessanti e, al contempo, più ricche di possibilità per le imprese, è senza dubbio la blockchain.

A più di dieci anni dalla sua invenzione, la blockchain è oggi uno strumento che ha rivoluzionato trasversalmente il mondo della finanza, delle imprese e finanche dei singoli cittadini e consumatori. E, se per parecchi anni la conoscenza di questa tecnologia è stata limitata al mondo degli informatici di professione e al mondo degli investitori nelle criptovalute, negli ultimi tempi è iniziato un processo graduale di diffusione, allo stesso modo di quanto accaduto per altre tecnologie quali Internet prima e i Social Network poi. In alcuni casi, l’utente è un semplice fruitore di servizi basati su questo paradigma; in altri, invece, la blockchain è stata introdotta nelle realtà produttive di vari settori come soluzione di problemi reali delle imprese.

Tuttavia, per utilizzare e sfruttare le potenzialità di questo strumento, è necessario conoscerne il funzionamento, a partire dall’origine fino alle più attuali implementazioni, con particolare interesse riguardo al mondo dell’agricoltura.

Nel presente documento, e in quelli a seguire, daremo un inquadramento quanto più epurato possibile dai dettagli tecnici, cercando comunque di far comprendere quali siano gli effettivi punti di forza e le innovazioni introdotte.

Con il termine blockchain si intende essenzialmente una struttura dati, archiviati in modo decentralizzato, trasparente, sicura ed immutabile, introdotta nel 2008 da Satoshi Nakamoto, pseudonimo di un autore tutt’ora sconosciuto, con l’obiettivo di fungere da libro mastro per l’allora nascente valuta digitale Bitcoin. L’obiettivo era quindi quello di tenere traccia di tutti i passaggi di Bitcoin da un utente all’altro. Questo aspetto, spesso fonte di confusione, è invece di fondamentale comprensione per capire le applicazioni di questa tecnologia fuori dal mondo delle criptovalute: la blockchain è, di fatto, un archivio dati con caratteristiche uniche, che saranno in seguito elencate, nata sì per i Bitcoin, ma che può di fatto contenere qualunque tipo di informazione.

Nello specifico, si tratta di un archivio di dati, strutturati in forma di registro di transazioni raggruppate in unità, chiamate in gergo blocchi, “block” in inglese, ed ordinate cronologicamente. Ogni blocco contiene al suo interno, oltre ai dati relativi alle transazioni, un identificativo univoco del blocco precedente, da cui il concetto di catena, “chain” in inglese. Per questa sua caratteristica, non è possibile alterare retroattivamente un blocco senza che vengano modificati tutti i blocchi successivi: per questo si dice che la blockchain è inalterabile ed in continua crescita, dato che, per modificare le transazioni in essa contenute, non potendo né modificare né cancellare il passato, è necessario aggiungere nuovi blocchi.

Questo archivio, così strutturato, viene memorizzato in modo decentrato, ossia non residente in un singolo punto (come potrebbe essere un file salvato in un singolo PC) ma reso pubblicamente disponibile in rete: nel gergo, si parla di “Distributed Ledger”, traducibile con il libro mastro distribuito.

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È quindi possibile per chiunque avere una copia di questo archivio e aggiungere ad esso nuovi blocchi: non esiste quindi nessuna copia “ufficiale” e nessun utente che sia più importante di altri, ma si tratta di un insieme di cosiddetti “nodi” equivalenti. Il risvolto principale di questo aspetto è che tutti possono visionare le transazioni e vedere, di fatto, quanti Bitcoin sono stati trasferiti da un utente all’altro, nella più completa trasparenza. D’altro canto, è possibile mantenere il totale anonimato, dato che chiunque può far parte della rete senza particolari vincoli di identificazione (almeno teoricamente).

Il meccanismo previsto tramite il quale è possibile aggiungere nuove transazioni sottoforma di blocchi alla blockchain, mantenendo coerenti le varie copie della stessa nei nodi, è il seguente: il nodo che ne abbia necessità, attraverso opportune operazioni crittografiche, invia le sue transazioni a tutta la rete.

Gli altri nodi che ne fanno parte verificano l’integrità di queste transazioniassemblano un nuovo blocco e lo inseriscono in modo coerente nella blockchain, condividendola nuovamente col resto della rete. Tutto il processo si basa su complessi sistemi matematici di crittografia e di marcatura temporale, che richiedono notevoli potenze di calcolo per essere svolte, e quindi costi di apparati elettronici e di energia elettrica per alimentarli.

Per rendere appetibile e remunerativa questa attività, è in questo passaggio che si è scelto di generare i nuovi Bitcoin. Il nodo che elabora per primo la soluzione al problema matematico che rappresenta l’aggiunta del nuovo blocco alla blockchain viene premiato con una commissione percentuale legata alle transazioni in esso contenute. L’attività di generare nuovi Bitcoin è chiamata in gergo “mining”, che in inglese significa estrazione, come nel campo minerario.

Come si vede, per sua stessa natura, non ci sono delle autorità centrali che gestiscano la moneta, come per esempio, nel caso delle valute classiche, che vengono materialmente stampate dalle zecche di Stato di ciascun Paese che ne garantisce anche il valore, né autorità che gestiscano le transazioni, in analogia a quanto accade con le banche, le quali devono garantire che i vari soggetti abbiano effettiva disponibilità degli importi ed i trasferimenti di denaro da un soggetto all’altro.

Al contrario, la blockchain è di tutti e tutti possono attuare una transazione ed approvarne altre, basandosi esclusivamente su un procedimento collaudato di consenso fra nodi e trasparenza. Proprio questo mix di trasparenza e anonimato ha reso invisa questa criptovaluta, e tutte quelle da essa derivate, alle banche ed agli stati.

Quando si parla quindi di nuove possibilità legate agli investimenti sulle criptovalute, semplificando, ci si riferisce essenzialmente a due tipi: da un lato l’attività di “mining”, ossia di generazione di nuovi Bitcoin col procedimento visto, attraverso centri di calcolo di proprietà o a noleggio; dall’altro un’attività più classica di compravendita di valute.

Ma questa è solo una minima parte delle potenzialità della blockchain: il modello, nato in origine per i Bitcoin, è stato in seguito usato ed ampliato per numerose altre applicazioni.

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